Mercoledì, 09 Ottobre 2024
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Il mondo dell’opera è da tempo al centro di un dibattito acceso, che però si svolge spesso a colpi di ‘si dice’ , di sorrisi ammiccanti,  di racconti informali.

Per poter portare un po’ di chiarezza abbiamo avuto la possibilità di porre un po’ di domande al dottor Franco Silvestri, che gentilmente ha accettato di sottoporsi a questo fuoco di fila di quesiti nella sua veste di Presidente dell’ Ariacs, l’Associazione Rappresentanti Italiani Artisti Concerti e Spettacoli  che riunisce molti degli agenti italiani.

La finalità è cercare di portare un po’ di limpidezza, perchè mettere in evidenza le criticità, renderle manifeste senza equivoci e sotterfugi, è già un grosso passo avanti per cercare di salvare un mondo che rischia l’autodistruzione.

   

Franco Silvestri: Partiamo da un presupposto che deve essere tenuto presente come postulato per comprendere il contenuto delle risposte e le ragioni delle nostre posizione nelle sedi istituzionali: i Teatri italiani sono sovvenzionati dallo Stato ed utilizzano quasi esclusivamente fondi pubblici. Nonostante la legge Veltroni abbia trasformato la natura giuridica degli Enti Lirici in Fondazioni di diritto privato, vi è una sentenza della Cassazione che dichiara apertamente la natura fondamentalmente pubblica di queste istituzioni. Quindi si spendono soldi dei contribuenti (i cittadini italiani e non italiani residenti fiscalmente in questo Paese) che hanno il diritto di vedere i propri quattrini “reinvestiti” dallo Stato in beni e servizi a favore dei cittadini, come l’ordinamento giuridico stesso dichiara. Ai sensi dell’articolo 53 della Costituzione tutti coloro che producono reddito in Italia devono quindi pagare le tasse, anche se stranieri o se hanno aziende che, pur dislocate all’estero, producono profitti in Italia.

 

Cominciamo sanando una imprecisione di uno dei miei articoli: esattamente quale è l’ambito di azione dell’agente teatrale secondo la legislazione italiana?


La legge italiana, dopo venti anni di vuoto legislativo, con la legge 106/2022 ha delineato il perimetro della professione e, soprattutto, riconosciuto questa categoria di professionisti che ci ha sempre visti, come ho spesso detto, dei “fuorilegge in libertà provvisoria” che operavano grazie ad una circolare ministeriale con il rischio sempre dietro l’angolo di incorrere nel reato di mediazione sul lavoro. 

Cosa alquanto anacronistica, visto che le agenzie interinali esistono da parecchi anni. Questo per dire quanto ancora lontana era (ed è) la legislazione italiana. Il perimetro definisce l’ambito e le modalità per operare che sono riguardo all’ambito
a) promuovere, trattare e definire programmi, luoghi date delle prestazioni e le relative clausole contrattuali;
b) sottoscrivere i contratti che regolano le prestazioni anche in nome e per conto del lavoratore di cui si ha la rappresentanza in base ad un mandato espresso;
c) prestare consulenza ai propri mandanti per gli adempimenti di legge, anche di natura previdenziale e assistenziale, relativi o conseguenti al contratto di prestazione artistica;
d) ricevere le comunicazioni che riguardano le prestazioni artistiche dei propri mandanti e provvedere a quanto necessario alla gestione degli affari inerenti la loro attività professionale;
e) organizzare la programmazione e la distribuzione di eventi nell'interesse del mandante o preponente
Riguardo alle modalità, L'agente, sulla base di un contratto scritto di procura con firma autenticata, rappresenta gli artisti, gli esecutori e gli interpreti, nei confronti di terzi.
Su questo ultimo punto dobbiamo essere chiari: chi opera in Italia senza un mandato di procura a firma certa compie un illecito e, purtroppo, questa pratica è ancora lontana dall’essere attuata e soprattutto non sono determinate sanzioni nei confronti di chi non rispetta tale vincolo, sia da parte degli agenti ma anche da parte degli artisti e dei teatri che operano di conseguenza scritture in maniera irregolare.

 

Secondo la sua associazione ci sarebbero dei miglioramenti o degli ampliamenti da fare alla normativa?

Come ho detto, la legge ha determinato perimetro ed ambito lasciando a quello che è definito tecnicamente “Decreto attuativo” il compito di regolamentare in profondità l’esercizio della professione. Esso avrebbe dovuto essere redatto entro la fine del 2022, ma in seguito al cambio di governo dobbiamo dar atto all’attuale governo di non aver voluto far decadere il provvedimento bensì di averne decretato per legge lo slittamento all’estate 2024. Sappiamo che il Ministero sta
lavorando alacremente al decreto attuativo che prende il nome di “Codice dello spettacolo”. Su questo tema, fin dal suo insediamento, il Governo ha aperto diversi tavoli di confronto a cui la nostra Associazione ha partecipato portando all’attenzione degli organi decisionali molte criticità e offrendo possibili ambiti di soluzione delle stesse. Vedremo cosa verrà accolto e cosa no delle nostre proposte.

 

Al momento le spese dell’agenzia sono a carico dei cantanti. Vi sembra corretto o non sarebbe giusto che venissero sostenute anche dai teatri?

Questo è un argomento assai delicato e va compreso per bene. Il riconoscimento delle agenzie di rappresentanza dice che le agenzie sono utili e che il lavoro che svolgono non è solo per gli artisti, ma anche a favore dei teatri, divenendo quel trait-d’union che risolve spesso i problemi anche per i Teatri. Per questo motivo nelle proposte contenute nel progetto di decreto attuativo abbiamo chiesto, sulla scia di un modello peraltro già in uso in molti paesi d’Europa, che il pagamento delle
competenze alle agenzie vengano suddivise fra artista e teatro.
Non si tratta a nostro avviso solo di una questione economica, ma è un problema profondamente etico. Anzitutto questo permetterebbe, in ottemperanza con la legge 49 (equo compenso) di cui magari parleremo più tardi, di definire un compenso minimale stabilito per legge. Questo infatti uniformerebbe la linea di partenza di tutte le agenzie, piccole e grandi, “potenti e meno potenti” evitando che si sviluppi una scorretta concorrenza basata sul principio “tu lavori con me e paghi commissioni minori”.
Certo, fin tanto che le commissioni vengono pagate dall’artista direttamente all’agente, questo problema non può essere risolto, ma qualora dovesse essere anche il Teatro a pagarle allora la questione cambierebbe. L’agente sarebbe in tal caso obbligato a fornire un giustificativo al Teatro per ottenere il pagamento, che avverrebbe nel pieno rispetto delle leggi vigenti. Va da sé che in questo modo si può anche molto facilmente verificare da parte anche dagli organi di controllo governativi se vi siano situazioni di “trust” tra agenzie e Teatri (argomento ampiamente dibattuto in tempi recenti) e rendere anche un servizio alla trasparenza perché le contrattazioni dovrebbero obbligatoriamente essere svolte attraverso tutti quei canali istituzionali che ne qualificano la tracciabilità.


Molte agenzie hanno sede all’estero, pur lavorando moltissimo nel nostro paese. Questo vuol dire che le tasse sulle provigioni sui contratti svolti nei teatri italiani non vengono pagate in Italia?

Esattamente! Chi ha residenza fiscale in paesi fiscalmente molto più “amici” del contribuente (e non parlo solo dei famosi paradisi fiscali come Svizzera o Montecarlo, ma anche di altri paesi dell’est europeo come ad esempio Polonia, Serbia, Montenegro o Cipro) hanno un margine di guadagno maggiore e quindi, nel gioco dell’accaparrarsi gli artisti posso usare anche l’arma, come ho detto, di abbassare la commissione o di non far pagare l’iva al 22%, se non addirittura evitare le forme di imposta sul valore aggiunto.
Va da sé, invece, che se l’agenzia non avente residenza fiscale in Italia (e parlo di tutte le agenzie straniere non di eventuali agenzie italiane che hanno dislocato all’estero) qualora sia il teatro o l’istituzione a pagare il compenso, di fatto sarebbe obbligato ad assoggettare il creditore alla tassazione in ritenuta secca come un normale soggetto straniero che opera in Italia pagando alla fonte la ritenuta del 30% circa.


Il Ministro ha sottolineato, nel discorso d’indirizzo, che è fondamentale sostenere il Belcanto italiano e gli artisti del nostro paese. Di fatto, però, ci sono cartelloni dove la presenza estera è prevaricante, non solo nelle parti protagonistiche, dove sarebbe spiegabile, ma anche nei ruoli minori: da Frasquite al dottore del ‘Macbeth’, da Benvolio a Clotilde, da Oscar al Remendado. Quale spiegazione offre di questa situazione e come la giudica?

 Desidero soffermarmi molto brevemente su questo punto perché già abbondantemente posto
all’attenzione degli organi di indirizzo tecnico-politico più e più volte, non ultima la lettera
sottoscritta sia da Ariacs che da Assolirica che è stata pubblicata sulle pagine social e sul nostro sito.
Purtroppo con grande rammarico abbiamo notato che è stata da alcuni malintesa ed addirittura
tacciata di violenza xenofoba. Non dimentichiamo il presupposto con cui abbiamo aperto questa
chiacchierata: il nostro settore è sostenuto quasi interamente da fondi PUBBLICI! Questo non è un
particolare secondario a nostro avviso, ed è anche da questo che muovono molte delle osservazioni
che abbiamo espresso. Ribadiamo che ci si richiama solamente a dei principi sanciti dalla legge
106/2022 (articolo 12 in particolare) che non è stata approvata – come un direttore d’orchestra che
vive e opera all’estero si è permesso di commentare – da un parlamento “fascista”, ma da un
governo a grande maggioranza europeista ed assi aperto a tutte le collaborazioni senza limiti di
territorio o di nazionalità. Questo è stato l’ultimo atto approvato dal parlamento prima della caduta
del governo Draghi ed in cui l’unico partito non presente in quella maggioranza era quello oggi al
governo. Quindi di cosa parliamo? Spero che chi vorrà leggere il nostro intervento capirà il suo
spirito e concorderà sul fatto che ne facciamo solo una questione di “opportunità” visti i tempi non
proprio rosei del nostro settore e che i giovani artisti italiani – ma non solo – riteniamo non siano
sempre adeguatamente valorizzati e considerati specie da governance dei Teatri non italiane.
Ricordiamo anche, perché evidentemente la memoria di alcuni è un po’ corta, che i nostri artisti (ed
intendiamo con ciò TUTTI gli artisti residenti fiscalmente in Italia) non hanno goduto durante la
pandemia di quei “paracaduti” che in moltissimi paesi d’oltralpe invece gli artisti hanno avuto.
Crediamo pertanto che sostenerli sia un dovere della nostra società.


La platea: accade qualcosa del genere anche all’estero od è una situazione tutta italiana?

Franco Silvestri : All’estero accade, nella maggior parte dei casi, esattamente il contrario. Salvo alcuni rari casi, in
una larghissima parte d’Europa gli artisti che sostengono parti secondarie – in particolare – ma
anche molti che sostengono ruoli principali sono artisti “locali”, e spesso incardinati nelle
compagnie stabili. Non che non ci siano anche stranieri in queste ultime, ma sono comunque
residenti anche fiscalmente nel paese in cui lavorano e, di fatto, contribuiscono all’economia del
paese in cui vivono. Certo è anche una modalità legata al diverso tipo di organizzazione dei Teatri,
che sono teatri “di repertorio” e non “a stagione”. Pure in Francia ad esempio, o in Spagna, vi è una
forte stretta su artisti non locali per le seconde parti pur con qualche minoritaria eccezione. Ad
esempio, il nuovo direttore generale dell’opera di Bruxelles ha dedicato i primi giorni della sua
prima visita a Bruxelles prima dell’effettivo insediamento ad audizionare gli artisti belgi… nessuno
per questo ha gridato allo scandalo, al razzismo, allo sciovinismo, al nazionalismo. Ma ciò che è
normale e di buon senso nel mondo non sembra esserlo in Italia. Nessuno vuole limitare la libera
circolazione degli artisti, solo valorizzare, nutrire e far crescere il comparto artistico nazionale e
locale per formarlo al meglio e consentirgli di rioccupare quel ruolo centrale che gli era proprio fino
a pochi decenni fa e che – per svariati motivi – sembra aver perso.


La platea: in Italia ci sono, oltre alle Fondazioni, numerosi teatri di tradizione, che fino a qualche anno fa erano ‘palestre’ per i giovani artisti che maturavano il repertorio, imparavano a stare in scena e capivano anche quale fosse il repertorio più adatto per loro. Adesso la situazione sembra cambiata, con una forte presenza di voci estere e di cantanti già da tempo in carriera. È solo un’impressione od in effetti anche questa è una criticità di un sistema?


Franco Silvestri : Qui il discorso è lungo e complesso. Cercherò di essere il più sintetico possibile. Quello che lei
sottolinea faceva parte integrante della prima Legge quadro che risale al 1967. Poi con l’andar del
tempo i teatri di tradizione hanno perso il loro focus per diverse ragioni. La prima è la
“presunzione” di voler essere uno più fico dell’altro (ci si perdoni l’espressione) iniziando una sfida
al rialzo e questo ha comportato la ricerca delle “stars” a scapito dei giovani. Devo dire che se
all’epoca vi fossero state queste metodologie di scelta degli artisti, Pavarotti e la Freni sarebbero
probabilmente stati parcheggiati nello studio del maestro Campogalliani o avrebbero cantato tanti
“Panis Angelicus” nella cattedrale di Modena.
Un secondo motivo è la subordinazione alle mode del “mercato” credendo che offrire al pubblico
gli stessi artisti che si vedono alla Scala, al Met, al Covent Garden o all’Arena di Verona fosse il
vero desiderio del pubblico mentre invece si è rivelato spesso un boomerang per i teatri di
tradizione e, di riflesso, anche per i grandi teatri.
I teatri di tradizione aprivano le porte agli artisti giovani e sempre fra il pubblico vi era quale
“osservatore” di qualche teatro blasonatissimo. Oggi invece i giovani, invece di fare la debita
gavetta (indispensabile a nostro avviso per avere una carriera stabile e di lunga durata), vengono
immediatamente lanciati nella fossa dei leoni e non è raro trovare artisti poco più che debuttanti sui
grandi palcoscenici con il concreto rischio che possano “scoppiare” – come ahinoi purtroppo spesso
accade – nel giro di breve tempo.
Addirittura la Legge 800/1967 imponeva (e sottolineo imponeva) che nei teatri di tradizione non si
potessero scritturare artisti stranieri se non per riconosciuta necessità (come avviene ad esempio
negli Stati Uniti) e in numero limitatissimo pena la decurtazione dei fondi pubblici fino ad arrivare
alla revoca del riconoscimento di stato di teatro di tradizione. Poi le leggi europee sono cambiate, la
sentenza Bosman che aprì con il calcio l’andirivieni di artisti di ogni nazionalità estensivamente fu
applicata anche ai teatri.
Anche l’opera è come il calcio. Basta ascoltare qualsiasi Domenica Sportiva la domenica sera
durante gli impegni della nazionale o le trasmissioni radiofoniche sportive del lunedì mattina per
sentire la solita tiritera: in Italia non ci sono più giocatori perché non si cura più il vivaio, e via
discorrendo.
La questione non è chiedere di cancellare la legge Bosman nella lirica, ma è solo un problema di
buon senso e di sensibilità da parte delle direzioni dei teatri nel recuperare la loro originaria
funzione. Certo, un Direttore artistico ha meno responsabilità se mette in compagnia la celebrità
straniera rispetto ad avere i “fucili puntati” se mette in scena la giovane bravissima italiana
sconosciuta “Maria Rossi” perché se sbaglia la star straniera è colpa dell’artista, se sbaglia “Maria
Rossi” allora la colpa è del direttore artistico che viene ferocemente criticato. A mio avviso si
chiama paura, nulla di più.


La platea: scorrendo le programmazioni teatrali si ha la sensazione che esistano delle agenzie che hanno un peso molto maggiore delle altre, tanto che in alcuni titoli la maggior parte degli interpreti ha lo stesso agente, con tutti i problemi di equilibrio che questo può portare. Si tratta di una impressione o di una situazione reale? Ed in questo caso quanta parte di questa situazione è attribuibile alle agenzie e quanto ai teatri?


Franco Silvestri : È un problema reale e per me si chiama mancanza di volontà nel fare un serio scouting. Si fanno certo abbastanza audizioni (anche se non dappertutto), ma poi alla fine si rivelano in molto casi solo degli specchietti per allodole. 

Può essere brutto fare un esempio “commerciale”, ma è come se, avendo un “fornitore” di riferimento da lui si acquistasse dal capo griffato fino all’accessorio insignificante. 

La libertà di scelta è ovviamente assolutamente insindacabile, ma riteniamo davvero molto difficile credere che non si possano operare scelte in alcuni casi più equilibrate.
Si fanno poi molte speculazioni su “sudditanze” da parte dei Teatri verso alcuni agenti pur di avere
nomi di punta e di moda e, a fronte anche di comportamenti non proprio professionali, anche per
non rischiare di perdere artisti blasonati anche sul resto della programmazione, si chiude uno o a
volte anche tutti e due gli occhi. A chi è attribuibile questa situazione? Le rispondo con una sola
frase: i matrimoni si fanno in due ed entrambe le parti devono essere consenzienti.


La platea: ci sono cantanti italiani che sembrano banditi dai nostri teatri, nonostante le recensioni positive ed
i successi internazionali. Oppure interpreti che dopo una partenza carica di aspettative, si ritrovano
a cantare ruoli di secondo piano, oppure a sparire dai cartelloni, senza spiegazione apparente.
Contemporaneamente ci sono cantanti che cantano ovunque, con un repertorio amplissimo, anche
arrivando all’ultimo momento e saltando molte delle prove. Che spiegazione dà a questo
fenomeno?


Franco Silvestri : Ci sono moltissime variabili che determinano il successo e la carriera di un artista, che è fatta anche
di scelte ed in buona parte pure di fortuna e casualità. Alcuni preferiscono volontariamente stare
all’estero piuttosto che lavorare nel “precariato” italiano, avere calendari sicuri e molte volte
prestigiosi a medio termine piuttosto che non sapere cosa fare il mese dopo. Mi raccontava Claudio
Desderi che avrebbe fatto assai di più in Italia se non avesse scelto volontariamente di passare tanto
tempo della sua vita artistica a Glyndebourne. Basta anche guardare il calendario di uno splendido
direttore come Speranza Scappucci, che è praticamente quasi sempre all’estero nel prossimo anno.
Un’altra ragione è quella della poca pazienza degli artisti che vorrebbero, una volta debuttato un
ruolo principale, avere il carnet pieno di tali ruoli per i prossimi due lustri e, visto che ciò non è
possibile, invece di puntare sui ruoli al motto “devo lavorare” accettano di tutto pur di stare in
palcoscenico e di fatto finiscono per svilirsi professionalmente. È chiaro che un teatro che sa che un
artista assai bravo è disposto ad accettare anche ruoli di fianco è incentivato a prenderlo per avere
un cotè di secondi ruoli di tutto rispetto ma poi il rischio è di rimanere in quel ganglo e di non
uscirne più. Ancora una volta cito un insegnamento che mi diede Claudio Desderi quando diceva
che la carriera si costruisce più con i “no” che con i “si”.
Sul fatto poi che molti artisti arrivano last minute saltando le prove, ciò dipende dalla poca capacità
di pressione da parte dei dirigenti del teatro che, per avere il “nome” sono disposti a tutto. E questo,
beninteso, non è solo un disagio per la produzione ma anche per le economie in quanto il teatro per
mandare avanti le prove, specie quando ci sono poche recite, è costretto a pagare dei cover cui non
sempre vengono affidate poi delle recite.
Certo, sono artisti abituati ad esibirsi in teatri di repertorio dove in una settimana fai prove e tre
recite (penso ad esempio a Vienna o Berlino) ma anche alle condizioni economiche che in Italia non
incentivano a stabilizzarsi in loco per le prove.
Va però anche detto che le “stars” quando lavorano in alcuni Teatri prestigiosi (Met, Covent Garden
per citarne alcuni) non fanno una piega e sono presenti regolarmente alle prove (spesso pagate
peraltro) perché le condizioni sono chiare fin dal primo momento. In Italia, almeno per ora, queste
“imposizioni” vengono applicate di fatto sui ruoli secondari (che non hanno voce in capitolo, mai) e
pertanto si chiede al Paggio del Rigoletto di farsi 25 giorni di prova e guai a mancare un giorno!


La platea: Come mai, pur essendo pienamente consapevoli di quanto sta accedendo da diversi anni,
un’associazione come l’Ariacs ha segnalato, anzi denunciato, solo adesso una situazione del
genere? Cosa è cambiato tanto da farvi prendere una posizione così importante?


Franco Silvestri : Per chi non ne conoscesse la storia, bisogna chiarire che Ariacs ha avuto un percorso fatto di alti e bassi. C’è stato un periodo di grande entusiasmo dalla metà degli anni ’90 del secolo scorso, ma poi questo è scemato ed Ariacs, purtroppo, ha finito col diventare un po’ il Circolo Pickwick oltre ad operare, bisogna dirlo chiaramente, un uso a volte personalistico della carica presidenziale operata da qualche Presidente. Di fatto la strategia era, o sembrava essere: “non alziamo troppo la voce e non solleviamo i problemi altrimenti subiamo ritorsioni”. 

Alla fine la battaglia veramente persa è quella che non si combatte, ed Ariacs all’epoca – pur se in un periodo storico molto diverso da quello che abbiamo attraversato e che stiamo ancora attraversando – fece questa scelta a mio avviso sciagurata. Poi è arrivata la pandemia e questo ha “costretto” a tutti i colleghi di rivederci e di riparlarci, e nel 2020 Ariacs riprese la sua missione. Si è trattato di una sorta di Ariacs 2.0. rinnovata ed in parte anche contrastata, non ho problemi ad ammetterlo. 

Dopo i primi tre anni di lavoro i soci hanno votato la mia riconferma con il voto di tutti meno uno, il mio, che mi sono astenuto. 

Forse qualcosa di buono è stato fatto in questi tre anni ed è stato riconosciuto, anche se
ancora molto c’è da fare ma, come dico sempre, Roma non è stata costruita in un giorno.

Come mai una delle Agenzie più rivelanti, segnalata nei miei precedenti articoli, non appartiene all’Ariacs e non ne ha mai fatto richiesta di ingresso? Pensa che ci possa essere una resistenza ad accettare e firmare il vostro codice etico?


Ci sono diverse agenzie, anche fra le più grandi sia nel settore dell’opera che della concertistica che
non hanno voluto entrare in Ariacs o che ne sono uscite evidentemente per diversità di visione
rispetto al lavoro che si sta portando aventi. Qualcuno ha dichiarato di non voler entrare in Ariacs
perché non si sente rappresentato da questo Presidente… ognuno la pensi pure come vuole. Forse
bisognerebbe guardare più alla sostanza che alla forma almeno in questo caso. Abbiamo auspicato
che nei decreti attuativi del Codice dello spettacolo il Ministero crei il registro degli agenti che, di
fatto, imponga a tutti coloro che vogliono esercitare questa professione di esserne iscritti facendone
domanda e che Ariacs sia il nucleo iniziale di questo registro. Poi si può anche non essere d’accordo
con le posizioni di Ariacs ma, almeno finché non ci sarà una nuova associazione di agenti e questa
non venga ufficialmente riconosciuta dallo Stato (riconoscimento che Ariacs ha in forza della legge
4/2013) noi rimaniamo la voce ufficiale della categoria. I colleghi non facenti parte
dell’Associazione rimangono dei privati cittadini che possono certamente esprimere un proprio
pensiero ma, qualora fossero ascoltati dagli organi istituzionali, la cosa non sarebbe coerente con il
principio di rappresentanza.


Quando alcune agenzie importanti riescono a lavorare senza rispettare il codice, che posizioni potete prendere come Ariacs?

Ariacs è una associazione e come tale può sanzionare i propri soci
con le misure previste dallo Statuto e dal Codice deontologico. Chi non ne fa parte, al momento,
agisce come ritiene opportuno. Ma, come già detto prima, le cose si fanno sempre in due. Pensi che
abbiamo ricevuto notizia – ovviamente da appurare – di un “collega” che durante la pandemia
avrebbe fornito dichiarazioni false circa l’impiego di artisti allo scopo di permettere loro l’accesso
ai ristori chiedendo di dividere poi gli importi degli stessi. Oppure si è sentito di altri colleghi che,
magari perché rappresentano direttori che hanno voce in capitolo sui cast, dicono agli artisti che se
vogliono cantare con quel direttore devono pagare anche a loro la commissione. Tutto quello che, al
momento, possiamo fare è di segnalare questi eventi – ove siano provati tangibilmente – agli organi
di controllo istituzionale. Per questo è importante che i decreti attuativi del Codice dello spettacolo
emanino regole precise e stringenti per poter dare un segnale anche etico a questa professione e che
prevedano anche sanzioni importanti per chi agisce in maniera scorretta.


LAriacs ha provveduto a evidenziare le anomalie/ irregolarità segnalate nei precedenti articoli, in particolare in Teatri come quello di Verona? Quali strumenti ha per farlo?

 Ariacs ha al suo interno una commissione di soci che fa uno screening di tutte (e dico tutte!) le
stagione delle Fondazioni Lirico-sinfoniche presentando dei report annuali al Ministero
evidenziando le situazioni ove riteniamo vi siano delle criticità. Il Ministero ne prende atto ma, al
momento, non ha strumenti sanzionatori per determinare il limite dell’invasività condizionatoria sul
mercato. Gli strumenti di Ariacs sono quelli di segnalare. Il Ministero dovrebbe avere gli strumenti
legislativi che gli permettano di agire e questi, al momento, non li ha. Per fare un esempio che esula
da questo specifico caso, durante la pandemia l’allora Ministro auspicò che i contratti che vennero
sospesi (usò questo termine e non “cancellati”) fossero recuperati agli artisti. Il Direttore generale
dello spettacolo dal vivo ribadì la cosa con diverse circolari. Ciononostante alcuni, in verità
pochissimi, teatri hanno ignorato la cosa e per loro non vi è stata alcuna sanzione se non una tiratina
di orecchie nemmeno troppo decisa…Ecco il problema è che gli strumenti non li deve avere Ariacs
ma li deve avere (o creare) il Ministero.


Un un simile caso gli organi preposti alla vigilanza (Sindaco, uffici anti corruzione, Ministro) avrebbero potuto immediatamente intervenire in modo significativo?

 Le ho risposto sopra: senza una legislazione chiara nessuno può intervenire. Forse l’antitrust ma non ha tempo per occuparsi di una nicchia (di fatto lo sono) come quella dei Teatri italiani quando ci sono situazioni ben più gravi (penso solo alle egemonie dei colossi del digitale) cui metter mano.

 Nel suo ruolo di dirigente della Ariacs lei è chiamato a vigilare, denunciare e contestare le irregolarità. Questo non la mette in difficoltà nel suo lavoro di agente? non si ravvisa nella coincidenza di questi ruoli uno scoglio deontologicamente insormontabile e pacificamente inconciliabile?


Guardi, ho pagato pago di persona – e con me ovviamente i miei artisti – per aver preso a cuore questo problema. 

Alcuni Teatri hanno chiuso a me, ma anche a qualche mio collega, le porte ad ogni tipo di collaborazione. Quello che non capiscono questi dirigenti è che il mio ruolo di Presidente
Ariacs è quello di lavorare per un codice etico della categoria e di coloro che con questa categoria
entrano in contatto e il fatto di chiudermi/ci le porte dal punto di vista professionale è amio avviso
indice di grande malafede. Pazientemente attendo. Sono 30 anni che faccio questo mestiere e…
sono ancora qua. Certo fa male vedere questi atteggiamenti, ma provengono da una distorsione nella
percezione del proprio ruolo: il Sovrintendente non è il proprietario del Teatro, ma è a servizio di un
bene pubblico. Se cambia questo modo di interpretare il proprio mandato allora cambieranno anche
le modalità di relazione fra le figure professionali e istituzionali. In bene, intendo.
Una ulteriore considerazione mi sia concessa, perché Ariacs sta portando avanti anche importanti
richieste di mutamenti sulle condizioni di lavoro e sui compensi degli artisti chiedendo il rispetto
della legge 49/2023 (sull’equo compenso) e questo aspetto non viene mai sottolineato abbastanza.
Si tratta un perno fondamentale della riforma sostanziale di tutto il settore dello Spettacolo dal vivo,
tant’è che il Ministero per le imprese e il made in Italy ha proposto al Ministro della giustizia di
inserire Ariacs nell’osservatorio sulla applicazione della legge sull’equo compenso. Per questo dal
marzo scorso la figura del Presidente di Ariacs (compreso chi lo sarà in futuro) siede a pieno titolo
in tale osservatorio. E questo, al di là della missione importante, è la testimonianza tangibile di ciò
che ha fatto Ariacs in questi anni e della completa imparzialità del lavoro della Presidenza e
Consiglio rispetto alle istituzioni. Anche se questo tema riguarda in prima persona la categoria degli
artisti, noi riteniamo di essere tutti parte di una “filiera produttiva” nel nostro settore, ed il benessere
di tutti va a giovamento di tutto il sistema.


L’ariacs prenderà le distanze ufficiali riapetto a queste anomalie del sistema o pensa che all’interno ci siano posizioni contrastanti?

 Le abbiamo già prese e continuiamo a prenderle. Chi ha seguito i nostri interventi pubblici lo sa.
Diciamo che in Ariacs le posizioni sono convergenti sull’evidenza delle problematiche. Poi come in
tutte le associazioni, ci sono diversità di visioni strategiche, ovvero sul come operare e il ruolo del
Presidente e del Consiglio è quello di trovare la migliore via tra quelle che i soci propongono. C’è il
quello più battagliero e quello più prudente come in tutte le famiglie.


Scorrendo i nominativi degli artisti inseriti in Operabase, ci si accorge che c’è un continuo travaso da un’agenzia all’altra. cosa motiva questo comportamento?


Potrei ridurre a tre le motivazioni di fondo. Un primo caso è lo scouting continuo dato dal fatto che
alcune agenzie “abbindolano” con promesse che spesso non riescono a mantenere qualche artista
che prestigioso o che comunque sta facendo una bella carriera. Un secondo caso è il proliferare di
nuove agenzie che pubblicizzano di arrivare alla luna. Il terzo caso è quello che molti artisti, quando
le cose non vanno bene, invece di fare un serio esame di coscienza, ritengono che il solo e unico
colpevole sia l’agente incapace e pertanto credono che cambiare agenzia possa essere la soluzione
ai loro problemi. Poi, ed è vero (e anticipo la risposta alla domanda successiva) alcuni artisti banditi
in alcuni teatri quando cambiano agenzia diventano immediatamente delle “star”.


Pare esistere un rapporto ‘speciale’ fra la direzione di certi teatri ed alcune agenzie. E’ solo un’impressione od è qualcosa di più tangibile?

Che i rapporti umani abbiano una loro valenza è innegabile e non è nemmeno deprecabile. Le cito
un esempio capitato al sottoscritto. Qualche anno fa feci debuttare ad un artista un ruolo di grande
prestigio a seguito di una audizione positiva che aveva sostenuto. Ovviamente l’avevo fatto sentire
anche in altri teatri dove, al di là dei complimenti, nessuno se l’era filato di pezza, come si dice a
Roma. Succede che questo artista cambiò agenzia ed in soli tre anni è diventato una star mondiale.
Capita… Sì, evidentemente ci sono anche dei rapporti “speciali”…

Questa situazione di criticità certamente non può essere attribuita alle sole agenzie, perché queste propongono i loro artisti ai teatri e se si creano situazioni intricate, la responsabilità è di chi ha operato le scelte. Tant’è che esistono teatri nei quali abbiamo eque distribuzioni, sagge ripartizioni fra italiano ed extra comunità europea. Come vivono le agenzie i rapporti con le Sovrintendenze?

Sicuramente nel dialogo, a volte anche acceso. Ma a loro competono le scelte che rientrano
nell’ambito di una loro autonomia. Noi possiamo solo far presente loro le anomalie. Poi però,
quando segnaliamo queste anomalie agli organi istituzionali, allora fanno i risentiti.


Ci sono teatri nei quali, di fatto, le porte sono chiuse a priori per certe agenzie?

Sì. E per non coinvolgere altri colleghi parlo della mia esperienza personale: sono anni che non ho
artisti che cantano alla Scala a parte uno (per caso) che dopo aver dato buona prova di sé, non è
stato più riconfermato. E non parlo di artisti che sostengono solo ruoli principali… nemmeno un
“Deputato fiammingo” o un “Ceprano”.

Da cosa pensa possa dipendere? Quanto è il peso in queste scelte del Sovrintendente e quanto del Direttore artistico?


Beh, credo che alla prima domanda si possa trovare risposta nelle risposte che ho dato alle domande precedenti. Alla seconda rispondo che c’è una anomalia del sistema in quanto la figura del direttore artistico dopo la riforma Veltroni, ha perso la sua autonomia e pertanto se un Direttore artistico vuole tizio, il Sovrintendente può decidere per caio. Inoltre la convergenza delle cariche di Sovrintendente e Direttore artistico in un’unica persona ha comportato diverse anomalie anche strutturali e, purtroppo, anche l’impossibilità di avere dei referenti certi, aumentando i casi di
scaricabarile perché alla fine non sai mai chi ha deciso in favore dell’una o dell’altra scelta e, salvo
rarissimi casi, ovviamente i Direttori artistici (oggi spesso Casting manager) e i Sovrintendenti si
tengono bordone a vicenda.


Cosa si potrebbe fare per evitare queste situazioni?


Lo abbiamo detto in occasione della proposta di decreto attuativo che abbiamo presentato al
ministero: il ritorno alla distinzione chiara fra le funzioni tecnico-amministrative in capo al
Sovrintendente e quelle artistiche in capo al Direttore artistico con completa autonomia. Per essere
più precisi faccio un esempio forse riduttivo: io Sovrintendente dico al Direttore artistico che per la
stagione 2024/2025 hai a disposizione 100 euro. Decidiamo insieme i titoli e poi il resto è tutto in
capo a te. Se fai bene il tuo lavoro bene, altrimenti te ne vai a casa. Allo stesso modo, se il
Sovrintendente crea dei buchi se ne va a casa. A dire il vero questa ipostesi sui bilanci era già
contenuta nella legge delega del 2017, ma non è mai stata applicata.

Qual è secondo voi il primo passo che il Ministero dovrebbe fare per non far precipitare la situazione?

Elaborare il decreto attuativo/codice dello spettacolo avendo chiare le posizioni non solo delle
istituzioni (che sono sempre restie ad ogni tipo di cambiamento specie se questo status quo va
avanti da 57 anni) ma anche dell’altra parte che, ad essere però onesti, dal 2020 ha iniziato ad essere
molto più ascoltata che in passato. Di questo un po’ di merito va alla nostra tenacia, ma un
ringraziamento non può non essere che rivolto agli organi istituzionali sia degli uffici di indirizzo
politico che degli uffici operativi del ministero.

Qual è la proposta che Ariacs vorrebbe vedere approvata dal ministro?


Guardi, rispondere a questa domanda mi imporrebbe 28 pagine di risposta. Gran parte dei problemi li abbiamo evidenziati nella proposta di decreto attuativo ed abbiamo proposto anche soluzioni realizzabili ispirate all’esperienza vissuta sul campo e, soprattutto, al buon senso. Ora la palla è nelle mani del Ministero e vedremo cosa vorrà accogliere di quanto da noi proposto.
Ogni proposta che abbiamo fatto e, voglio sottolinearlo, condivisa e sottoscritta con gli artisti
rappresentati da AssoLirica è sul tavolo di chi ora ha l’onere di renderla legge. Ci hanno detto che
entro l’estate dovrebbe essere emanato. Ciò che auspichiamo è che provvedimento esca e che non
scadano i termini prescritti dalla legge e che esca con il vero desiderio di fare chiarezza. In 57 anni
sono stati emanati una serie infinita di provvedimenti tampone che hanno fatto più danno che
benessere…fusse ca fusse la volta buona…

 

Chiudiamo ringraziando per la disponibilità, augurandoci che queste domande, alle volte brutali, possano aiutare a chiarire la situazione, perché certamente il primo passo per ripartire deve essere la trasparenza e chiedendole quale è il suo auspicio per il futuro, nell’immediato ed a lungo raggio?


Che esca una buona legge e che, soprattutto, poi venga applicata.

 

Gianluca Macovez

13 giugno 2024

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Una lunga chiacchierata con la coreografa e regista, figura emergente di grande spessore e dal successo internazionale.

Valentina Escobar è figura di grande interesse nel mondo della danza e del teatro.

Suo padre Sergio è stato un grande personaggio del teatro italiano . ha ricoperto per molto tempo ruoli di grande rilevanza  alla Scala, fondandone, con Claudio Abbado, l’orchestra filarmonica. Sovrintendente prima del Comunale di Bologna, poi del Carlo Felice di Genova, successivamente dell’Opera di Roma, nel 1998 è stato nominato Direttore del Piccolo di Milano.

Probabilmente un simile sponsor avrebbe facilmente aperto molte porte, ma la signora Escobar ha scelto una strada differente: quella dello studio appassionato prima e della gavetta poi.

Studia con passione danza e, per dieci anni, anche  pianoforte, poi canto lirico con Rita Patanè, recitazione e mimo con la grande Narcisa Bonati.

Frequenta la Scuola d’Arte Drammatica ‘Paolo Grassi’ e s specializza con le Masterclass del Piccolo teatro di Milano, sotto la guida, fra gli altri,  di Peter Brook e Peter Stein.

Muove i primi passi come aiuto regista, proprio a Trieste in occasione di una ripresa, nel 2003, di ‘Così fan tutte’ di Strehler,  per poi diventare regista collaboratrice, coreografa, regista, lavorando accanto a veri capisaldi del teatro, come Carlo Battistoni, Marise Flach, Robert Carsen, Henning Brockhaus.

I consensi sono solidi, anche perché il suo stile è molto ricco di riferimenti culturali, la coreografie costruite addosso agli interpreti, l’interazione con la musica è sapiente, intensa.

Nei suoi lavori sono banditi luoghi comuni e facili effetti, a favore di un viaggio nella poetica della vita, a plasmare, attraverso l’autenticità narrativa, personaggi ricchi di  drammaticità, ironia, sorrisi e capaci di suscitare  lacrime di commozione.

Tanti i premi, in Italia ed all’estero, ma questo non la spinge a  lasciare il ruolo di coreografa, che le consente,  fra le altre cose, di cementare il rapporto artistico con Brokhaus, con il quale firma, fra gli altri: ‘ La serva padrona’, ‘atto senza parole’, ‘ Traviata ‘, ‘ Lucia di Lammermoor’, ‘Macbeth’, ‘ Rigoletto’, ‘ Otello’, ‘Lohengrin’.

Adesso i due firmano a Trieste una nuova edizione di ‘Il Castello di Barbablu’’ di Bartok, per il quale  hanno pensato all’inserimento di un gruppo di ballerini e mimi che cercano di tradurre in gesti e movimenti l’animo dei personaggi, il senso della vicenda, peraltro cantata in lingua originale: l’ungherese.

Proprio a Trieste, durante le prove dello spettacolo, la incontriamo per una lunga e piacevole chiacchierata, dalla quale emergono ancora più evidenti l’entusiasmo, la passione, ma anche l’umiltà  ed il grande lavoro di preparazione che caratterizzano il suo operato.

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Laura Verrecchia è un giovane mezzosoprano, in rapida e solida ascesa.

Fra le sue caratteristiche, una voce solida e  di ampia estensione,  un magnifico colore che riesce a declinare in tantissime sfumature, una tecnica  solida che le permette di affrontare un repertorio amplissimo, degli acuti  potenti che entusiasmano il pubblico.

Oltre gli aspetti musicali, però, emerge dirompente un talento interpretativo di gigantesco spessore, che la trasforma di volta in volta in un credibile Romeo, giovane e nervoso; in una  elegante  Giovanna di Seymour; in una umile ma determinata Angelina; in una Lupa sensuale e selvaggia; in una Eboli esuberante ed una spassosa Isabella.

Riesce a cogliere l’animo dei  personaggi, lavorando sulla parola, con dizione limpidissima e riuscendo a  trovare sfumature ed accenti mai scontati, riuscendo a divertire, commuovere, appassionare.

Abbiamo avuto il piacere di incontrarla a Trieste, durante le repliche di ‘La Cenerentola’, spettacolo di grande successo di pubblico e critica, che l’ha vista applauditissima protagonista accanto a dei fuori classe come Giorgio Caoduro e Carlo Lepore.

Con la cortesia e la disponibilità che le sono proprie ha accettato di sottoporsi alle nostre domande.

Cominciamo proprio dagli inizi. Lei è nata a Venafro, paese di circa 10.000 abitanti, dalla storia gloriosa ma certo  non famoso per le tradizioni musicali.

 

Come è nata la passione per il canto?

La passione anzi, la vocazione per la musica mi accompagna da sempre. Canto, ballo, suono da quando non avevo neanche gli strumenti per farlo ma è così che è successo, mi appartiene e basta. È la mia vita. Ciò che mi ha spinto a studiare e ho iniziato dal pianoforte e dal ballo, è stato il Festival dedicato al grande Mario Lanza (mio lontano parente), organizzato a Filignano, paese di mio padre. Lì ho potuto vedere da vicino la spettacolarità di quest'arte e mi sono resa conto della sua irrinunciabilità nella mia vita, seppur fossi ancora una bambina.

 

E’ stato difficile coltivare questa passione, vivendo in una realtà così decentrata?

Venafro è la città in cui ho iniziato i miei studi musicali e coltivato la passione per il ballo, il teatro. È una città in cui impari guardando anche le persone che, seppur in un ambito “amatoriale”, si cimentano in tante forme d'arte e tutto ciò è di forte ispirazione per chi ha dentro di sé quel fuoco che arde…Certamente per lo studio specifico del canto Lirico ho dovuto viaggiare quasi da subito: ho iniziato in un coro di voci bianche a Venafro ma dai 16 anni ho iniziato le lezioni con un'insegnante nel Lazio, poi al Conservatorio di Campobasso e alla fine sono approdata al Cherubini di Firenze.

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Intervista a Diego Santangelo, regista di ‘A Muzzarell’, nei cinema dal 15 febbraio 2024

 

A pochi giorni dall’uscita della sua opera prima, abbiamo incontrato Diego Santangelo e ci ha raccontato del suo primo film e di altri progetti in cantiere.

 

Parliamo prima al regista e presentiamolo: chi è Diego Santangelo?

Mi definisco uno che ancora sogna e gioca come un bambino. Nonostante io abbia 62 anni e sia nonno, non smetto di vedere la vita e tutto con estremo entusiasmo e con occhi ed animo sempre pronti a scoprire cose nuove. Sono fotografo, ho lavorato per anni nel mondo della produzione visiva, ma sentivo che era giunto il momento di provare – appunto – un’altra esperienza. Perché non si smette mai di crescere, no?

 

Parliamo un po’ di questa opera prima...

È stata un’esperienza meravigliosa, iniziata due anni fa. Ho pensato ad una storia semplice, che potesse ispirarsi ad una visione neorealista, come facevano i vecchi maestri del Cinema. Abbiamo lavorato con poche risorse. La sceneggiatura è stata scritta anche basandoci sul fatto che i luoghi e le realtà avessero fatto da protagonisti con la fotografia, insieme ovviamente all’enorme bacino di “characters”, fuori dalla dizione, dalle scuole e dalla recitazione studiata. Volevamo spontaneità e l’abbiamo trovata in attori veramente bravi, a partire dai giovani protagonisti.

 

Perché Napoli?

Napoli ha una storia cinematografica enorme alle spalle. Da sempre, praticamente, accoglie e ospita il Cinema. Per anni – e tuttora – è stata negativizzata, ma rimane sempre un territorio fecondo di storie da raccontare. Ci sono tornato dopo vent’anni di vita internazionale. È una città che soffro, che amo, che elaboro e filtro con gli occhi di un bambino. Non l’ho cercata però per temi cari a pellicole che vanno per la maggiore, anche se ne sono purtroppo presenti, ma perché facesse da sfondo ad una storia di adolescenza, che vive un malessere proveniente dal profondo.

 

Il tema principale del film sembrerebbe essere quello del viaggio, è così?

Un tema intramontabile, caro a libri, oltre che ad altre pellicole. Nel viaggio si vede, si vive, si cresce e si pensa. Ha permesso, a noi e ai personaggi, di vivere e girare nei luoghi del mito oltre che della storia. Pensiamo a Castel Volturno. Fazione associata ai Casalesi e ricordata per questo, ma ci sono luoghi legati al mito romano. Oppure Bagnoli, di cui non vediamo che un solo spiraglio, ma è ancora evidente la traumatica chiusura per il tessuto sociale. Il personaggio di Daniele è un muschillo per errore e guida il motorino: questo gli permette di passare in vari luoghi del passato

 

C’è anche però un accenno alla favola…

Ovvio! Pensiamo alla trama: un piccolo che attraversa il mondo esterno per poter passare da una casa a lui cara verso la nonna per portargli da mangiare. 

 

Cappuccetto rosso!

Esatto! L’allusione c’era ed era voluta. Non per niente, Martina – altra piccola protagonista – porta un abito rosso, che inizialmente doveva portare Daniele. Attraversando luoghi del mito, come in una favola e in una storia epica, il protagonista incontrerà personaggi gentili che daranno lui insegnamenti e correzioni utili ad una maggiore presa di coscienza. Parte di questo percorso, sarà fatto di silenzi, che prenderanno voce grazie alla colonna sonora, firmata da Adriano Pennino, che permette alla pellicola di avere diversi livelli narrativi.

 

Quali sono i prossimi progetti?

Intanto ci dobbiamo occupare di questo film: sarà presentato in quindici Festival riguardanti il cinema indipendente. Già sappiamo che questo film avrà un sequel, dedicato al personaggio di Martina, ma la produzione sarà più internazionale: ci sarà ad esempio Christopher Lambert. Non ci dimenticheremo mai, però, del nostro Sud e senza dimenticare l’analisi e la ricerca della redenzione, della fuga e della ricerca di risposte. Siamo sempre convinti che la Bellezza ci salverà: sia emotiva che quella che ci circonda.

 

Qualche consiglio per gli spettatori?

Lo do anche agli addetti ai lavori: proviamo a togliere un po’ di Materia che invade la nostra vita e lasciamoci condurre di più dalla Storia e dall’Ideale.

 

 

 

Francesco Fario

11 febbraio 2024

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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