Lunedì, 17 Febbraio 2025
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Dal 1992 Dario D’Ambrosi porta avanti a Roma un progetto diventato negli anni fondamentale per molte famiglie quello del teatro Patologico. Di cosa si tratta? Di trovare un raccordo, un punto d’incontro e di aiuto reciproco fra arte teatrale e persone con disabilità mentali. Un lavoro importante, che è diventando una vera e propria terapia per molti disabili e allo stesso tempo fucina di opere teatrali apprezzate da pubblico e critica. L’attività di D’Ambrosi è stata così apprezzata che nel 2009 il Teatro Patologico ha ottenuto una sua sede stabile in via Cassia (Roma) dove è poi nata la prima scuola europea di formazione teatrale per persone con diverse disabilità.

Le rappresentazioni della compagnia del teatro Patologico sono andate in scena dal teatro Argentina al Mama di New York passando anche per Tokyo e Bruxelles. Migliaia le famiglie che negli anni hanno potuto notare un vero e sostanziale aiuto da questo tipo di attività per il loro familiare con disabilità. Poi è arrivato il Coronavirus, la chiusura dei teatri ed anche per il teatro Patologico lo stop è stato doveroso ma destabilizzante per molti ragazzi.

 

Qual è la situazione oggi del teatro Patologico, dopo il lockdown siete riusciti a riprendere, almeno in parte le vostre attività?

La situazione è molto triste perché avevamo messo in calendario una serie di appuntamenti molto intensi ma soprattutto molto specifici, da fare con i ragazzi disabili che frequentano i corsi del teatro Patologico. Prima del lockdown avevo anche pensato di migliorare il corso di teatro terapia con l’intervento di una logopedista ma quando si è tornati al libera tutti è arrivata un’altra brutta notizia: il comune di Roma ha negato il contributo economico per un piccolo vizio burocratico. Mi è dispiaciuto perché ciò è fondamentale per l’esistenza della nostra realtà e credo sia gravissimo che questo contributo sia stato negato solo per un vizio burocratico. Anche perché il servizio che offriamo coinvolge circa sessanta famiglie i cui parenti sarebbero stati impegnati per altri tre anni in queste attività con grandi benefici per la loro condizione.

 

In occasione della trentaquattresima edizione del Todi Festival, che si terrà nella città di Todi dal 3 al 6 settembre 2020, abbiamo intervistato il direttore artistico Eugenio Guarducci, al fine di cogliere le sue emozioni e le prerogative di questa edizione che, inevitabilmente, risentirà delle ripercussioni e restrizioni derivate dall’emergenza Coronavirus.

 

Avendo come sfondo e vincolo costante il contesto di emergenza all’interno del quale avrà luogo il Todi Festival, come ha ridisegnato i contorni di tale appuntamentro?

La parola chiave è: prudenza. Quando abbiamo deciso di ripartire con l’organizzazione del Festival, ci siamo posti come obiettivo principale quello di affiancare al nostro entusiasmo anche i necessari protocolli di sicurezza riguardanti sia gli spettacoli al chiuso che quelli all’aperto. Tali accortezze, partendo dallo spettatore, saranno atte a tutelare tutti.

 

L’obiettivo quindi è far dialogare la prudenza con la qualità?

Esattamente: la tutela delle persone non deve essere interpretato come elemento limitativo. Ogni qualvolta che avevamo considerato se ripartire o meno con il Todi Festival, il pensiero andava non solo agli attori ma anche ai tecnici e a tutti coloro che erano stati più esposti pur non potendo sempre contare su protezioni adeguate. La testimonianza di come sia necessario avere uno sguardo complessivo che abbracci e tuteli anche le persone meno visibili è pervenuta da Max Gazzè. L’artista, infatti, oltre ad essersi impegnato a ritornare sul palco, ha dichiarato apertamente di aver ridimensionato il proprio cachet, contribuendo così a garantire disponibilità di un adeguato compenso anche al personale che lavora “dietro le quinte”.

#intervista a Geppy Gleijeses, direttore responsabile del teatro Quirino Vittorio Gassman di Roma

 

All’interno di un clima culturale e umano che ancora risente in modo preponderante del dramma causato dal Covid e dell’inquietante incertezza sul futuro prossimo che solo un nemico invisibile può instillare, riaprire un teatro non è solo un’operazione culturale ma un inno alla vita, un gesto rivoluzionario. Tale azione, infatti, condensa, all’interno della propria intenzionalità, coraggio, follia, romanticismo e quell'inarrestabile desiderio di non mollare.  Incontrando Geppy Gleijeses, il direttore artistico del Teatro Quirino Vittorio Gassman, a tal proposito, abbiamo analizzato la situazione spinosa dei teatri privati in questo particolare momento storico, che ci ha risposto così:

La situazione dei teatri privati si può definire a dir poco grottesca in questo preciso momento storico. Nonostante essi fatturino metà degli introiti dei teatri di tutta Italia, manca l’attenzione delle Istituzioni che non intervengono per supportarli economicamente. I finanziamenti pubblici ai teatri privati come il Teatro Quirino, sono minimi e non permettono, con la cifra elargita a noi di 56.000 euro, di pagare neanche il salario di un mese a tutti i nostri dipendenti. A fronte di questa crisi generalizzata, fanno rabbia le recenti dichiarazioni del direttore artistico dell’Eliseo. Ci assumiamo la responsabilità di affermare che Luca Barbareschi, dopo aver ricevuto 5 milioni di euro di finanziamenti pubblici, somma ricevuta senza un’apparente giustificazione su cui sta indagando la magistratura, non può lamentare m ilioni di debiti. Troviamo non accettabile questa gestione economica che ha portato sull’orlo del fallimento uno dei teatri simboli di Roma, il nostro “j’accuse” è rivolto alla modalità sconsiderata con cui è amministrato, a nostro avviso, l’Eliseo. Riteniamo quindi incomprensibili le richieste di aiuto economico del teatro in oggetto.

 

Alla conferenza stampa di presentazione della prossima stagione teatrale si percepiva l’emozione di un nuovo inizio. In questo momento siete tra i pochi ad avere delle date certe per gli spettacoli in programmazione.

Nonostante le criticità di questo frangente storico, il Teatro Quirino si differenzia dagli altri teatri storici di Roma per le sue posizioni. Dal nostro punto di vista, bisogna avere il coraggio di rischiare. Noi abbiamo azzardato lanciando la campagna abbonamenti adesso e siamo stati premiati da un elevato numero di abbonati già a luglio e senza certezze per il futuro. Il nostro pubblico ci ha rinnovato la sua fedeltà. La riuscita della nostra iniziativa dimostra che gli appassionati hanno veramente desiderio di ritornare a teatro. A nostro avviso, il segreto del nostro successo si può ravvisare in un’efficiente gestione economica, in dipendenti che amano il proprio lavoro, in un pubblico affezionato che si fida delle nostre proposte e nel rispetto per la tradizione insita nel Teatro Quirino. Inoltre vogliamo aggiungere che al nostro teatro si percepisce un’atmosfera di familiarità e di calore non solo verso gli spettatori, ma anche verso gli attori che ospitiamo durante la stagione che per noi sono degli amici, fanno parte della grande famiglia del Quirino. 

 

Ci vuole parlare del cartellone 2020/21?

Posso anticipare la presenza di qualche nome come Gabriele Lavia, Paola Paoli, Alessandro Haber, Paola Quattrini che interpretano testi d’autore. Riproporremo alcuni spettacoli non andati in scena per la repentina interruzione a causa del Covid, ma ce ne sono 12 nuovi in programmazione. I lettori possono trovare le informazioni di cui necessitano sul nostro sito.

 

In base a quali criteri sono stati selezionati gli appuntamenti in cartellone?

Abbiamo selezionato una drammaturgia non uniforme dal punto di vista tematico all’interno della stagione, secondo noi il cartellone deve essere variegato diversificando i generi e i soggetti. Abbiamo operato una scelta per far emozionare, divertire, sussultare il pubblico. Lo spettatore per noi è prioritario, vogliamo proporgli un titolo che conosce, un attore che richiama, un autore di spessore e una regia di qualità. 

 

 

Mena Zarrelli

31 luglio 2020

 

#Intervista a Laura Sicignano direttrice del teatro Stabile di Catania che ci parla delle iniziative per la prossima stagione e della vittoria del premio Franco Enriquez 2020 per la sua interpretazione dell'Antigone di Sofocle.

 

Il lavoro svolto con la tua Antigone, che ha aperto la stagione al teatro stabile di Catania, ti ha permesso di vincere il premio Franco Enriquez 2020 della città di Sirolo, nella motivazione si legge che a convincere la giuria è stata la tua recitazione “molto accattivante, non accademica e di maniera, ma una prova d’attore maiuscola che svela una recitazione moderna e rivelatrice”… come commenti queste parole, volevi fosse questo trasparire?

Fin dall’inizio delle prove abbiamo lavorato con gli attori su alcuni principi per me fondamentali: la concretezza, la relazione e l’ascolto, a partire anche dal linguaggio, che nel tradurre il testo con Alessandra Vannucci, abbiamo voluto adattare ad ogni personaggio, nel rispetto dell’originale, ma pensando ad un discorso politico e ad un pubblico contemporaneo. La parola era pensata per essere detta dagli attori, non letta su una pagina. Pur cercando di conservare il mistero e la cerimonia, elementi che contraddistinguono la tragedia, abbiamo lavorato con gli attori a togliere ogni enfasi, compiacimento, astrazione. Questo percorso ha condotto la giuria del prestigioso premio a definire la recitazione “una prova d’attore maiuscola che svela una recitazione moderna e rivelatrice” che per noi è un grandissimo risultato.

 

Logoteatroterapia

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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