Venerdì, 02 Maggio 2025
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Recensione dello spettacolo Pinocchio, di Franco Scaldati. Regia di Livia Gionfrida. In scena al Palazzo della cultura di Catania dall’8 al 18 luglio 2021

 

Esistono parole per comunicare, ossequiose di leggi logiche e semantiche che ci permettono di condividere ed esprimere un linguaggio comune. C’è poi una tipologia di linguaggio che, pur usufruendo della medesima fonetica, ne riplasma il costrutto interno seguendo traiettorie non più condivise ma totalmente personali, dove è riconoscibile il suono ma non la sua intenzione. Nella scrittura di Franco Scaldati, regista, poeta, drammaturgo e attore palermitano,  la linearità del “ verbo” diviene quasi intralcio alla natura indomita di questo, costituita da un selvaggio ed istintivo libero fluire dialettale alternato ad improvvise impuntate e virate. Qui la parola fugge, anzi scappa e si lascia affannosamente rincorrere da certe regole e aspettative di prevedibilità delle quali si sente il rauco fiatone. Qui la parola si accomoda dove le pare e senza permesso, per trovare da sola la sua collocazione all’interno di un foglio bianco che può rimanere tale oppure leggermente tracciato da parole e frasi che si cercano senza trovarsi. Su questa scia, il Pinocchio di Scaldati si lascia scorgere e raggiungere solo con i sensi, lasciando che sia il riverbero delle parole e il loro carattere evocativo, e non il loro significato, a colpire lo stomaco ora con una piacevole vibrazione, ora con un pugno. Il Pinocchio collodiano, tradotto in palermitano dallo stesso Scaldati, è una linea che spesso si spezza per divenire altro, per seguire una suggestione o una ritmica che sembra nata in quel momento, lasciando che sia il profumo di quell’emozione a farsi figura. Analogamente, la vibrazione  sottostante ai fonemi riflette l’abolizione della regola strutturale per consentire che siano i suoni ad evocare immagini e non la parola a tradurle.

Recensione de Il berretto a sonagli, di Luigi Pirandello. Regia di Antonello Avallone. Andato in scena al Teatro Marconi dal 30 Giugno 2021 al 1 Luglio 2021

 

I colori dell’animo umano assumono diverse sfumature e rendono i loro possessori unici come le loro storie passate che portano a rifiutare certe realtà o, al contrario, a volerle vedere tutte. E poi ci sono gli “altri”, quelli fuori a cui dobbiamo mostrare la maschera, e non una qualsiasi bensì quella che ci si aspetta venga mostrata nella perfezione dell’immutabilità. Poco importa se poi, nell’ombra della nostra intimità domestica, sentiamo scomodo e miserabile il nostro travestimento: la maschera, o meglio, il nostro “pupo” deve essere salvaguardato e soprattutto perpetuato. 

L’elegante signora Beatrice Fiorica viene a sapere che il marito, il cavalier Fiorica, la tradisce con Nina, la giovane moglie dello scrivano Ciampa, impiegato al servizio del cavaliere stesso. Scardinando i disperati tentativi della vecchia domestica Fana di farla ricredere e, soprattutto, noncurante delle conseguenze “sociali”, la signora Fiorica, “incoraggiata” dalla megera Saracena, escogita un piano per sorprendere i due amanti. Allontanando momentaneamente il signor Ciampa dalla città, con il pretesto di una commissione a Napoli, la donna servendosi dell’amico di famiglia, il delegato Spanò, porta a compimento la sua trama. A scandalo avvenuto e con i due infedeli in prigione, il disperato scrivano ha solo due possibilità di salvare il proprio onore: o uccidere la moglie e il cavalier Fiorica oppure, soluzione assai più elegante, convincere la signora Fiorica di essere pazza. Solo chi è pazzo, infatti può seguitare a dire la verità senza essere creduto e conseguentemente non nuocere alla rispettabilità altrui, perchè non c’è più pazzo del pazzo che crede di dire la verità. 

Recensione dello spettacolo L’amore del cuore. In scena presso il Teatro Vascello dal 15 al 23 maggio 2021

 

L’amore del cuore è una delle due parti – l’altra è Bollitore blu – che compongono Cuore Blu, creazione dell’acclamata drammaturga inglese Caryl Churchill. La sua scrittura assolutamente non naturalistica, l’agilità linguistica e una certa inclinazione per il surrealismo messe a disposizione di temi controversi quali il ruolo della donna nella società, la lotta per il potere, l’identità culturale e l’egemonia di un Stato sull’altro l’hanno resa una delle figure di riferimento del teatro contemporaneo. 

Ne L’amore del cuore la Churchill indaga, con il suo inconfondibile stile, l’attesa di un nucleo familiare: il padre Brian (Francesco Villano), la madre Alice (Tania Garribba), la zia Maisie (Alice Palazzi) e il fratello minore Lewis (Fortunato Leccese), attendono il ritorno di Susy (Angelica Azzellini) dall’Australia. Ma la ragazza pare se la stia «prendendo comoda», a detta di Brian. Il tempo che ci vuole per percorrere la distanza che separa l’aeroporto dalla casa dà modo ai quattro di innescare una serie di bombe emotive che, puntualmente, si inceppano dall’interno: così si ricomincia da capo, si cambia il tono, si evita o accentua una reazione, si ricostruisce da quelle che erano macerie fino a causarne altre.

Recensione dello spettacolo: Gabriele Lavia, Le favole di Oscar Wilde. In scena al Teatro Vascello dal 7 al 9 maggio 2021

 

La disinvoltura è di chi attraversa la scena quasi per caso prendendo forma da un suggestivo chiaroscuro che riposa sui contorni di una sedia e di un leggìo posti al centro del palco. Il prologo riflette l’entusiasmo e l’esasperazione di colui al quale la lontananza dal teatro non è bastata ad indebolirlo ma caricato, ogni giorno di più, di rabbia sbocciata poi in energia.  E quando si spengono le luci e sono i volti degli spettatori ora ad essere indefiniti, ci si accorge  della presenza di questi come metafora del proprio esserci, perché non c’è esistenza senza assenza. “Il Teatro è un luogo di cui non si può fare a meno”: così Gabriele Lavia si “ripresenta” ad un pubblico ancora incredulo di ritrovarsi lì e quasi impacciato nel riprendere certi automatismi, di quando andare a teatro era consuetudine. 

Logoteatroterapia

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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