Occuparsi di critica teatrale significa molte cose: avere l’opportunità di esercitare la propria capacità di giudizio, crearsi un gusto ma imparare a non fidarsi solo di quello nella valutazione, godere del privilegio di avere accesso a ciò che c’è dietro uno spettacolo. Capita, quindi, di incontrare tanti professionisti e artisti. Con alcuni di loro, nel tempo, si sviluppa una certa familiarità: così le mansioni, i ruoli, addirittura i personaggi diventano persone. Quando si è particolarmente fortunati, senza che questo infici la libertà di azione o pensiero nel rispetto del reciproco lavoro, c’è persino il rischio di diventare amici.
Tra gli altri, mi è successo con Gabriele Paupini: giovane regista, ma anche attore e traduttore, conosciuto in occasione di una sua rappresentazione - Yukonstyle - all’interno del circuito romano off di quella bolgia teatrale che è Roma. Ci siamo incrociati per caso durante spettacoli di altri, scambiati idee, consigli e suggerimenti musicali. Un rapporto intellettualmente stimolante che non si è interrotto nonostante il suo recente trasferimento in Francia. Dove tutt’ora risiede per frequentare il master Création en spectacle vivant, diretto da Laurent Berger, presso l’università Paul-Valéry Montpellier III.
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