Sabato, 27 Aprile 2024
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È innegabile il fatto che il teatro sia l’arte del “qui e ora”, dell’attimo presente. 

Lo spettacolo esiste appena si accendono i fari e si apre il sipario, e un attimo dopo la chiusura dello stesso, non esiste più. Come la vita reale, non può essere racchiuso, inscatolato in un oggetto concreto come un dipinto, un libro, un disco, un film o una scultura. Mentre gli attori recitano, ciascuna battuta, ogni singolo movimento del corpo, qualsiasi espressione o azione sono compiuti esattamente lì, in quel momento, e anche se l’attore conosce a menadito le battute che seguiranno, le vive in quel preciso istante, come se tutto accadesse per la prima e unica volta.

Il teatro è altresì l’arte della relazione. Alla prima lezione di Storia del Teatro all’università, il professore tentò di dare una definizione del teatro (cosa alquanto ardua per chiunque) arrivando poi a affermare che “teatro è tutto ciò che si dichiari tale”. Ma, cosa ancora più importante, “teatro è ciò che accade quando c’è almeno un attore che recita e almeno uno spettatore che guarda”. Ovvero, il teatro si fa almeno in due. La scrittura è un’attività solitaria, alla stregua della pittura, la scultura e la composizione musicale. Un musicista potrebbe anche non esibirsi mai di fronte al pubblico (vedi Mina degli ultimi decenni) ma comporre e suonare musica che gli ascoltatori possono fruire autonomamente in qualsiasi momento desiderino farlo. 

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Nel mondo globalizzato del quale tutti ormai facciamo parte, numerose sono le iniziative che abbattono i confini geografici, superano le differenze linguistiche e culturali, travalicano i chilometri e il fuso orario, per unire le più varie personalità a spendere il proprio tempo e le proprie energie per un ideale comune. 

Una di queste meravigliose esperienze si chiama Storytellers for Peace.

 

Il progetto Storytellers for Peace nasce nel giugno del 2016, ideato e diretto da Alessandro Ghebreigziabiher (scrittore, narratore e attore di Roma). Si tratta di una rete internazionale di artisti, narratori, autori, attori e musicisti, che creano storie collettive attraverso la realizzazione di un video a più voci. Gli artisti provengono da tutto il mondo e narrano storie di pace, giustizia, uguaglianza e diritti umani. Ogni partecipante racconta nella propria lingua madre. Il risultato finale è quindi un video di narrazione multilingue che mostra quanto il mondo possa essere bello, interessante, ricco, variegato, quando si unisce per una causa importante che riguarda tutti. Il motto degli Storytellers for Peace è proprio “costruiamo la pace attraverso le storie”.

 

Il network è ormai giunto al decimo video. Dopo aver affrontato argomenti come il 30° anniversario della caduta del muro di Berlino o il 70° anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani, il video attuale è stato realizzato in occasione del prossimo 2 dicembre. In questa data si celebra la Giornata Internazionale per l’abolizione della schiavitù, evento istituito dall’Assemblea dell’ONU nel 1986:

 

 Il video realizzato per questa importante ricorrenza narra storie sulla schiavitù passata e alcune forme di quella attuale. Proprio in quest’occasione, si è aggiunta la compagnia indiana “Theatre for change”, da sempre al fianco dei cittadini poveri e sfruttati attraverso il teatro e la narrazione. Gli altri storytellers che hanno partecipato a questo video provengono dagli Stati Uniti, dall’Argentina, dall’Eritrea, dalla Germania, dalla Spagna e naturalmente dall’Italia. Le scorse edizioni avevano visto la partecipazione anche di storytellers dall’Australia, dal Cile, dal Portogallo e dal Bangladesh.

Dai cinque continenti quindi, narratori di diverse culture, lingue, religioni, usanze, si uniscono perché accomunati da un’idea più grande delle loro differenze, un’idea che è la stessa per tutti gli esseri umani: la pace.

 

Cecilia Moreschi

28 novembre 2020

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Ridere piace a tutti, ridere fa bene a tutti. Chi di noi non preferisce trascorrere una serata in compagnia di quell’amico allegro e dalla battuta pronta, piuttosto che con il musone che ha costantemente qualche problema e sembra avercela con il mondo intero?

Ma forse in pochi sanno che dagli studi sulla potenza benefica del ridere si è sviluppata una vera e propria terapia.

La comicoterapia nasce dall’esperienza del clown dottore statunitense Patch Adams (1945- ) e si basa sull’intuizione (poi dimostrata scientificamente) che la risata abbia un effetto positivo sul sistema immunitario in quanto innesca nell’organismo una serie di processi chimici scientificamente dimostrati. 

La storia di Patch Adams è divenuta celebre grazie al film con Robin Williams, e sebbene il vero protagonista non ne fu mai davvero soddisfatto, la pellicola ha avuto l’indubbio pregio di veicolare il suo messaggio in tutto il mondo. Quale messaggio? Che la risata riduca gli stati ansiogeni e le contratture muscolari dell’individuo, oltre a favorire la secrezione di analgesici naturali. La risata veicola emozioni positive come gioia, speranza, ottimismo, tenerezza, fiducia, le quali si riflettono inevitabilmente sulla salute psicofisica del paziente. Gli studi sul campo hanno portato all’identificazione di una nuova branca, la gelotologia, che studia esattamente il potere terapeutico della risata. 

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Il teatro, l’arte più direttamente comunicativa ma anche più effimera. L’arte che esiste nel qui e ora del palco, e un attimo dopo la chiusura del sipario non esiste più. Esattamente come la vita, che accade a ciascuno di noi in questo preciso momento e non è mai uguale a se stessa.

A teatro noi assistiamo allo svolgersi di esistenze in cui spesso troviamo frammenti che ci appartengono. Gli attori entrano in scena, e sono talmente vicini a noi che potremmo fare pochi passi e toccarli. Camminano, parlano, gesticolano, esprimono emozioni, intessono relazioni, restano vittime di dinamiche irrisolte o fraintendimenti. 

Esattamente come avviene a ciascuno di noi nella realtà. 

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 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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