Bros si configura come un’opera di immagini, suggestioni e suoni che si può riassumere in una parola: disturbante. Lo spettacolo di Romeo Castellucci si impone sulla platea, fin dai primi minuti, in maniera netta. Una dittatura, quella a cui è sottoposto il pubblico in sala, che non ammette momenti di pausa. Dopo aver “rintronato” gli spettatori con un totem sonoro che scandagliando l’etere mette subito lo spartito della messa in scena su toni cupi e abissali, il monologo iniziale fa scendere un religioso silenzio fra le poltrone.
Un potente Valer Dellakeza nei panni del profeta, prima martorizzato poi venerato, getta le basi sulle azioni, che caratterizzeranno i quasi novanti minuti di pièce, usando le parole bibliche di Geremia: “Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti”.
Gli spettatori, muniti all’ingresso del “Codice comportamentale consegnato a ignari partecipanti”, cominciano a capire il senso della banalità del male alla quale stanno per assistere. Sul comunicato stampa si legge: “A pochi minuti dall’inizio dello spettacolo a ciascuno “attore” è consegnata una divisa da poliziotto e un dispositivo auricolare. All’apertura del sipario gli “attori” devono scrupolosamente eseguire gli ordini impartiti loro per via auricolare. I comandi sono ricevuti individualmente. Ciascun poliziotto apprende in tempo reale i comandi. Ciascuna azione è compiuta nel tempo determinato dall’ordine. La matrice dei comandi rimane fuori scena, invisibile agli spettatori”.