Giovedì, 01 Maggio 2025
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Recensione dello spettacolo Mettici la mano in scena al Teatro Diana di Napoli dal 22 ottobre al 21 novembre 2021

 

1943. Napoli vive nell’incubo dei bombardamenti e della devastazione del nazifascismo. In una cantina improvvisata come rifugio antiaereo, dove una statua della Madonna Addolorata sembra voler vegliare su quanti si inginocchiano a lei per trovare conforto, si incrociano nuovamente le vite di due personaggi dopo tanto, troppo tempo: il femminiello Bambinella e il brigadiere Maione. Il caso vuole che l’improbabile coppia di amici si ritrovi proprio quando l’uno ha più bisogno dell’aiuto dell’altro: il brigadiere, infatti, ha condotto in arresto con sé la giovane Melina, rea dell’assassino del marchese di Roccafusca, ma è poco chiaro il movente dell’omicidio. Partendo da congetture e sospetti, si sviluppa un appassionato confronto in cui Bambinella prende le difese della ragazza, mentre Maione continua ad accusarla del crimine più efferato che esista. Eppure, si intuisce subito che non sono i due personaggi a scontrarsi sul palco, quanto l’ideologia della giustizia da una parte e il rapporto dell’uomo con la legge, dall’altra. Ne nasce una sorta di processo di cui il giudice finale sarà proprio la Madonna Addolorata, la cui presenza sul palco appare ora più defilata ora più imponente, quasi a simboleggiare come la fede per l’essere umano non sia costante ma assuma forme diverse a seconda dei momenti della sua vita. Se il fervore religioso non è troppo presente in Maione e nella sua condannata, lo è, invece, in Bambinella: il diverso tra i diversi e ultimo degli ultimi, si rivela colui che più di chiunque altro nutre una viscerale fede nella Madonna e sarà colui che, assumendo il ruolo di intermediario, smuoverà le coscienze dei suoi compagni fino a portarli a inginocchiarsi alla statua. Perché la Madonna ci mette sempre la sua mano nelle vicende umane.  

Recensione dello spettacolo Amleto, in scena al Teatro Argentina dal 17 Novembre al 9 Dicembre 2021

 

Luci in sala. Il pubblico sta ancora prendendo posto (quello romano è abitualmente ritardatario). Amleto è già sulla scena, uno di noi, con il suo eterno dubbio. Vivere o morire, essere o non essere. Un buio sudario di sfondo lo avvolge come una placenta, il buco nero dei suoi pensieri. Da questo emergono gli attori. Amleto torna nel suo mondo. Giù le luci, lo spettacolo può iniziare.

Così il regista Giorgio Barberio Corsetti inquadra la tragedia del Principe di Danimarca. Elsinore, dove accadranno tragedie indicibili, è un luogo della coscienza, che trova la sua estrinsecazione nella realtà fittizia dello spazio teatrale. Una realtà mutevole, comeun carosello che ruota senza sosta; una realtà infida, come un piano inclinato su cui è difficile mantenere l'equilibrio. Oppure si cade giù. Un mondo dove la volontà vede naufragare le ambizioni del suo progetto ordinatore, davanti all'imprevedibilità di "stoccate micidiali date per caso, morti progettati a distanza, che ricadono sul capo di colui che le ha ideate".

Recensione dello spettacolo Chef in scena il 16 e 17 novembre al Teatro Belli all’interno della rassegna Trend  

L’inconfondibile impronta della regia di Serena Sinigaglia è immediatamente riconoscibile già agli esordi dello spettacolo: all’interno di una struttura in plexiglass dalle fattezze di una scultura di arte contemporanea, si muove la protagonista, Chef, senza mai varcarne i bordi, intrappolata nel suo interno. L’acqua sarà l’altro elemento fisso in scena: acqua a terra, acqua versata da un secchio, acqua che scorre sul plexiglass irregolare, spezzato, rendendo la visione suggestiva, evocativa di una dimensione altra. Per tutto il tempo del monologo, la protagonista maneggerà un secchio e uno straccio per pulire il pavimento all’interno dei ristretti confini della scenografia. Chef (così viene chiamata per tutto il tempo dello spettacolo diventando il suo nome proprio) nel contempo racconta frammenti della sua storia che riemergono dal passato senza un ordine cronologico. Lo spettatore, infatti, in alcuni frangenti, è disorientato da una narrazione non organica e solo durante la seconda parte dello spettacolo riannoda le fila degli eventi. Quello di Chef non è un vissuto qualunque.

Recensione dello spettacolo Panenostro in scena al Teatro Biblioteca Quarticciolo il 16 novembre 2021

 

Giuseppe (Andrea Cappadona) fa il panettiere, come suo padre e suo nonno. Solo che lui, a differenza loro, non è nato in Calabria ma a Milano. Del Sud, però, conserva qualche cadenza dialettale, una certa infantile vanità e la dedizione viscerale a quel fare il pane che non considera una semplice attività ma una vera e propria opera d’arte: lo si intuisce dai movimenti con cui ne evoca le varie fasi. Eppure nel suo raccontare come la piccola attività sia diventata un punto di riferimento del quartiere - dove lo apostrofano terrone, ma affettuosamente - si insinuano note che rimandano al rimpianto, alla tristezza, all’irrecuperabile: perché la passione per il frutto nato dall’incontro tra acqua e farina non è la sola realtà che lo segue dalla Calabria. C’è anche la ‘ndrangheta, con le sue regole non scritte che tutti conoscono benissimo. Cosa succede se un uomo buono come il pane decide di vendicarsi di chi lo insozza?

Logoteatroterapia

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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