Recensione dell'antologia Ballo di famiglia di David Leavitt edito da SEM, piccola casa editrice con sede a Milano che pubblica libri dal gennaio 2017 e si è fatta notare rapidamente: soprattutto perché il suo cofondatore Riccardo Cavallero veniva dall’essere stato direttore generale della più grande delle case editrici italiane, la Mondadori.
“I classici sono libri che esercitano un'influenza particolare sia quando s'impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.” (Italo Calvino, Perché leggere i classici)
“Si abbracciarono come fratelli; soltanto quando sono al sicuro nell'automobile della madre di Neil hanno il coraggio di baciarsi. Riconoscono l'odore dell'altro e tornano a sentirsi a loro agio”
(David Leavitt, Territorio, in Ballo di famiglia)
Come tanti altri scrittori della New Lost Generation, Leavitt esordisce in modo sparso e disordinato all'alba della decade degli anni '80. Nel 1984 mette insieme parte del materiale pubblicato nei quattro anni precedenti e l'Editore Knopf dà alle stampe Ballo di famiglia. A 23 anni, non solo diventa, dall'oggi al domani, un autore di successo ma, neanche tanto inconsapevolmente, fa deflagrare, negli ambienti intellettuali d'oltreoceano, una vera e propria bomba che lo proietterà, cogliendolo notevolmente impreparato, nell'Olimpo dei più famosi scrittori americani.
È ironico notare come sia la sua scrittura sia la sua vita, sin dal principio sono state emblematiche del periodo storico nel quale si vanno a contestualizzare.
I nove racconti dell'antologia (in questa nuova traduzione ed edizione della SEM dieci) narrano con tenerezza e saggezza la fine di un'epoca di contestazione e messa in discussione, gli anni '70, e l'inizio di un'altra, gli anni '80, contrassegnata nel suo progredire e giungere a termine dall'edonismo, narcisismo e materialismo più sfrenati.
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